Contesto epidemiologico e importanza delle misure di prevenzione delle batteriemie associate a cateterismo venoso centrale

A cura di: Federico Pigato1, Massimo Crapis2, Sergio Venturini2, Barbara Basso1

1- SOC Assistenza Farmaceutica, Azienda Sanitaria Friuli Occidentale (As FO), Pordenone

2- S.S. Dipartimento di Malattie Infettive, Azienda Sanitaria Friuli Occidentale (As FO), Pordenone

 

Abstract

Le infezioni correlate all’assistenza costituiscono a livello globale un serio pericolo per la salute pubblica, nonché una nota causa d’incremento della spesa sanitaria, dovuto soprattutto all’aumento delle giornate di degenza.

Grazie ad una partecipazione collettiva degli stati membri dell’Unione Europea, nell’ultimo decennio è stato possibile effettuare un monitoraggio di tale fenomeno per comprendere a pieno l’entità di questa problematica in tutte le sue sfaccettature, confrontando le realtà nazionali differenti ed andando ad individuare i principali fattori di rischio.

Uno di quest’ultimi è senza dubbio l’utilizzo di dispositivi invasivi, come il catetere venoso centrale, il quale, nonostante risulti ormai uso consolidato della pratica medica ospedaliera, è associato ad un importante aumento del rischio infettivo e di conseguenti morbidità e mortalità.

Considerando il fatto che la maggioranza dei casi di infezioni correlate a questo dispositivo sono dovute alle manovre di gestione degli operatori sanitari, l’istituzione di gruppi multidisciplinari con lo scopo di attuare misure preventive per questa problematica può avere un grande impatto sulla riduzione delle infezioni opportunistiche in questi pazienti.

Last update: 07/09/2022

 

Questa analisi considera le ultime evidenze riguardanti le infezioni correlate all’assistenza, prendendo in considerazione, come caso specifico, le batteriemie associate a cateterismo venoso centrale, andando ad individuare possibili coinvolgimenti del Farmacista Ospedaliero in questo ambito.

Le “Infezioni correlate all’assistenza” o ICA (definite come infezioni acquisite in ospedale o altri ambiti assistenziali e che si manifestano in genere dopo 48 ore dal ricovero, durante la degenza stessa o dopo le dimissioni) costituiscono la complicanza più frequente e grave dell’assistenza sanitaria e, insieme alla resistenza agli antibiotici, rappresentano un serio pericolo per la salute pubblica [1, 2].

Un costante e preciso monitoraggio di tali fenomeni è fondamentale per poter effettuare interventi specifici di Antimicrobial Stewardship (AMS) ai fini di salvaguardare la salute pubblica e contenere la spesa farmaceutica in Europa, come sul territorio nazionale.

Per poter stimare l’impatto complessivo delle ICA in Europa, la European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) negli ultimi anni ha coordinato i diversi Paesi dell’Unione Europea (EU) per lo svolgimento di studi multicentrici di prevalenza basati su una metodologia standardizzata, in grado quindi di consentire un confronto dei dati rilevati nei diversi Paesi partecipanti.

L’ECDC ha così pubblicato in un primo elaborato del luglio 2013, un documento chiamato: “Point prevalence survey of healthcare-associated infections and antimicrobial use in European acute care hospitals 2011-2012” (ECDC PPS 2011–2012), in cui vengono comparati per la prima volta i dati sulle ICA di 29 Paesi e 947 ospedali, per un totale di 231.459 pazienti [3].

Attualmente in Italia sono stati condotti 2 studi trasversali con il protocollo dell’ECDC [4, 5], il più recente dei quali, condotto dall’Università degli Studi di Torino e pubblicato nel 2018 con il titolo “Studio di prevalenza italiano sulle infezioni correlate all’assistenza e sull’uso di antibiotici negli ospedali per acuti – Protocollo ECDC”, ha rilevato una frequenza di pazienti con almeno un’ICA durante la degenza in ospedale pari all’8,03% (su un totale di 14.773 pazienti).

Inoltre, facendo una stratificazione del rischio, si può notare come l’utilizzo di dispositivi invasivi durante la degenza abbia mostrato una maggiore correlazione con il rischio infettivo, in particolare i pazienti a cui è stato posizionato un catetere venoso centrale (CVC) hanno sviluppato ICA nel 23,4% dei casi, contro il 5,31% di quelli senza CVC [5].

Alla luce di questi dati si può quindi affermare che quasi 1 paziente su 4 con CVC ha sviluppato un’ICA, con un impatto non indifferente, considerando che il CVC è utilizzato globalmente nel 14,9% dei pazienti e nel 65,7% se si considerano i degenti in Terapia Intensiva [5].

Una delle complicanze correlate al CVC che si verifica con maggior frequenza, mortalità e dispendiosità dal punto di vista economico è l’infezione del torrente ematico (CRBSI, Catheter Related Blood Stream Infection) [6].

In Europa, la letteratura riporta un costo complessivo attribuibile alle CRBSIs compreso tra € 13.585 e € 29.909 per paziente [7, 8]. In Italia sono stati descritti risultati inferiori, ma altrettanto significativi; infatti, uno studio caso-controllo condotto presso l’ospedale universitario Sacco di Milano, in cui sono stati confrontati 43 pazienti ricoverati in Terapia Intensiva e affetti da CRBSI (casi) e 97 controlli appaiati ha riscontrato una durata media di degenza rispettivamente di 17,41 e 8,55 giorni, con una spesa di € 18.241 e € 9.087 per paziente [9]. Mentre un lavoro più recente, pubblicato sul Giornale italiano di nefrologia nel febbraio 2019, in cui sono state esaminate 2.257 dimissioni ospedaliere tra il 2012 al 2017, ha riportato una permanenza dei pazienti in ospedale tre volte più lunga, con un costo associato alle CRBSI che variava da 4.080 € fino a 14.800 € [10].

Storicamente i microrganismi responsabili delle CRBSIs sono stati più frequentemente Gram positivi (G+), rappresentati soprattutto dagli stafilococchi coagulasi-negativi (come lo Staphylococcus epidermidis), seguiti dallo Staphylococcus aureus e dagli Enterococchi [11].

La percentuale di CRBSI causata da ceppi Gram-negativi (G-) negli ultimi anni è però aumentata e, in taluni contesti come ad esempio quello intensivistico, ha riscontrato una maggior prevalenza rispetto ai G+ [12, 13, 14]. 

In un recente rapporto, facente parte del Progetto PROSAFE – Petalo INFEZIONI della GiViTI (Gruppo Italiano per la Valutazione degli Interventi In Terapia Intensiva), pubblicato nel 2019, è stata effettuata un’analisi epidemiologica di 122 Terapie Intensive, per un totale di 43.426 pazienti ammessi (di cui 392 casi di CRBSI accertata) [15].

Da questo report si può notare una maggior percentuale di CRBSIs causate da G- (49,7% contro il 45,7% dei G+), mettendo in evidenza una tendenza all’incremento rispetto all’anno precedente (42.1% G- vs 52.3% G+).  Tra i G-, il genere Klebsiella spp è stato quello maggiormente identificato, seguito dall’Enterobacter spp e dallo Pseudomonas aeruginosa. Da segnalare inoltre un leggero aumento delle CRBSIs associate a Candida spp (da 9.7% nel 2018 a 11.0% nel 2019) [15, 16].

Una problematica da non sottovalutare in questi contesti è la presenza di microrganismi isolati multi-drug-resistant (MDR). Possiamo sottolineare ad esempio che gli stafilococchi coagulasi-negativi vantano una resistenza all’oxacillina che si attesta al 71%.

Considerando il fatto che una buona parte delle ICA sono prevenibili e che la gran maggioranza dei casi di CRBSI sono correlati alle manovre di gestione dei devices applicate dagli operatori sanitari, è ormai noto come l’attuazione di misure preventive per questa problematica siano fondamentali e possano avere un grande impatto sulla riduzione di infezioni opportunistiche in questi pazienti [17].

In tale contesto il Farmacista Ospedaliero (FO) può rappresentare, nell’ottica dell’istituzione di un gruppo multidisciplinare, una figura professionale su cui investire, in modo da garantire una gestione razionale di questa problematica attraverso il miglioramento della qualità del servizio assistenziale, attuando misure di prevenzione, monitoraggio e gestione del rischio clinico.

Infatti, il FO, in collaborazione con il clinico e in accordo con il personale sanitario, può contribuire all’elaborazione di protocolli operativi al fine di minimizzare i potenziali rischi e la probabilità degli errori. Nello specifico, grazie alla propria formazione, il FO può collaborare alla pianificazione di processi organizzativi in ambito di:

  • prevenzione delle infezioni (ad esempio fornendo indicazioni sul corretto utilizzo dei prodotti detergenti/disinfettanti presenti nel Prontuario Ospedaliero, sul corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuale e sul lavaggio delle mani);
  • monitoraggio attraverso i dati informatizzati dei consumi degli antibiotici, al fine di fornire report che possano essere di supporto ai clinici per eseguire interventi di AMS mirati nei singoli reparti.
  • corretto utilizzo di farmaci antibiotici nella profilassi ed eventualmente nella terapia connessa alle ICA (una razionalizzazione della gestione di questi pazienti può portare ad un minor prolungamento dei giorni di degenza, con tutti i benefici che ne conseguono).

Nella letteratura scientifica internazionale vi è sempre un maggior numero di studi mirati a rafforzare il ruolo del farmacista clinico nell’ambito della AMS, mettendo in luce diverse opportunità per questa figura professionale.

Nel Journal of Hospital Infection, ad esempio, è stata pubblicata a giugno 2021 una review sistematica, comprendente 52 articoli, con l’obiettivo di valutare l’efficacia degli interventi di AMS guidati dal FO per ottimizzare l’utilizzo di antibiotici in pazienti ospedalizzati [18].

Molti degli studi presi in considerazione sono stati condotti in Nord America (N=27) e nei paesi asiatici (N=17), seguiti da Europa (N=4), Africa (N=2) e Australia (N=2), con un periodo di intervento da parte del FO che variava da 1 a 6 mesi (N=27), da 7 a 12 mesi (N=16) o superiore ai 12 mesi (N=9).

Gli autori hanno evidenziato come queste azioni, basate soprattutto sull’informazione riguardante le linee guida e i programmi di AMS locali, abbiano contribuito a garantire l’aderenza alla evidence-based practice, riducendo i consumi senza influire negativamente sulla mortalità e sottolineando, quindi, l’importanza di un coinvolgimento maggiore dei farmacisti al fine di fornire e promuovere interventi di AMS.

 

 

Bibliografia

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  2. Infezioni correlate all’assistenza: cosa sono e cosa fare [Internet]: Ministero della Salute. 2019 [updated 2019 Dec 13; cited 2021 Aug 03]. Available from: https://www.salute.gov.it/portale/malattieInfettive/dettaglioContenutiMalattieInfettive.jsp?lingua=italiano&id=648&area=Malattie%20infettive&menu=ica.
  3. European Centre for Disease Prevention and Control. Point prevalence survey of healthcare-associated infections and antimicrobial use in European acute care hospitals. Stockholm: ECDC: 2013.
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  10. Mandolfo S, Maggio M, Forneris G, Galli F. Cost analysis of haemodialysis catheter related bloodstream infection through the DRG system, “on behalf of Project Group of Vascular Access of Italian Society of Nephrology”. G Ital Nefrol. 2019;36(1):2019-vol1. PMID: 30758153.
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  16. Rapporto Progetto PROSAFE – Petalo INFEZIONI Anno 2018 Popolazione complessiva (118 TI) TI Polivalenti [Internet]: GiViTI (Gruppo Italiano per la Valutazione degli Interventi In Terapia Intensiva). 2019 [updated 2019 Mar 14; cited 2021 Aug 03]. Available from: https://giviti.marionegri.it/portfolio/infezioni/.

 

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